> IMPOSTE E TASSE

Introduzione
Livello: Area
Denominazione: Imposte e tasse
Numero delle unità: 12505
Composizione: n. 19 settori
Denominazione dei settori: Gabelle in generale; Franchigie; Carati e diritti; Pedaggio; Riva grossa; Censarie e riva minuta; Grano; Vino; Carne; Olio; Grascia; Canna dei panni; Sete; Pesci salati e salumi; Gabelle minori; Dogana; Porto franco; Imposte direttei; Miscellanea
Ordinamento: le unità sono ordinate per settore

Allo sviluppo del debito pubblico genovese fece da contraltare quello della fiscalità, che sempre lo accompagnava.
La richiesta impellente di capitali a prestito per superare una gravosa contingenza presupponeva l’offerta ai creditori di un’adeguata contropartita che, data la natura statuale del debitore, non poteva consistere che nella cessione di un pubblico reddito annuale a titolo di interesse variabile (tale essendo il gettito) ed eventualmente di rateo d’ammortamento. E poiché gli introiti già in vigore erano assorbiti dalle spese ordinarie, ogni prestito implicava l’introduzione di una nuova imposta ad hoc.
Le sue caratteristiche erano fissate dalla legge istitutiva, emanata contemporaneamente alla stipulazione del contratto di mutuo, né potevano essere modificate se non a seguito di una rinegoziazione concordata. I soli mutamenti unilaterali consentiti alla Casa di San Giorgio erano ritocchi alla normativa di applicazione, purché non aumentassero la pressione fiscale; in genere essi erano introdotti in occasione di un nuovo appalto, per cui erano inseriti nei contratti di vendita delle gabelle.
I tributi conosciuti a Genova avevano nomi diversi a cui corrispondevano caratteristiche differenti. Il nome più comune era introitus o cabella, seguito dalla specificazione della materia imponibile e sovente anche dall’aliquota; sebbene usato estensivamente per indicare un tributo di qualsiasi genere, designava un’imposta fondamentale sovente capostipite di una serie di addizionali. L’aliquota di una gabella di base era infatti soggetta a variazioni (sempre in aumento); ogni sovratassa (additio o salsa) era considerata un’imposta a se stante, distinta da quella a cui si aggiungeva, per cui poteva essere venduta a soggetti diversi dall’appaltatore di quest’ultima. Un altro tipo di tributo era il diritto (drictus), che colpiva con una propria aliquota le materie imponibili di gabelle diverse. Dal punto di vista tecnico, i tributi erano per la grandissima parte imposte indirette sugli scambi di merci, tra cui primeggiavano per gettito fiscale quelle sul commercio estero (dazi) e sulle compravendite di derrate alimentari (grano, vino, sale); importanza assai minore avevano le imposte dirette e le tasse.
Il numero delle gabelle amministrate dalla Casa di San Giorgio era elevato. Al momento della sua istituzione essa ebbe in dotazione 44 cespiti fiscali diversi, ma il loro numero crebbe negli anni seguenti di pari passo con l’assorbimento di altre compere (e relative dotazioni) e con la frequente concessione di nuovi prestiti allo stato. Nel 1539, nel corso di una nuova sistemazione dei conti con la Repubblica, la cessione delle gabelle alla Casa, fino ad allora a titolo temporaneo, fu dichiarata perpetua; quelle ad essa spettanti risultarono 75 e rimasero intorno a tale livello anche negli anni seguenti.
L’ambito territoriale di applicazione delle imposte non era uniforme per tutti i tributi, né rimase stabile nel tempo. In prima approssimazione si può dire che l’area geografica in cui si riscuoteva la maggior parte delle gabelle coincideva con i confini della città capitale, nel senso che – a seconda della loro natura –colpivano tutto ciò che si scambiava all’interno della città o che transitava per le porte delle sue mura. Tra le eccezioni di maggior rilievo vi è la gabella dei carati e diritti annessi, che gravava sulla popolazione dell’intero stato di terraferma ed era percepita dapprima nella sola dogana di Genova (vigendo l’obbligo per tutto il commercio estero di far capo alla città) e più tardi anche nelle dogane aperte nel dominio. Diverso è il caso delle gabelle sul vino, che riguardavano quasi tutte il territorio che andava da Cogoleto a Rapallo e, all’interno dei due estremi, dal crinale appenninico al mare. La pinta vini Ianue e l’imposta sul grano di Genova, invece, coprivano la sola capitale con gli immediati sobborghi (sino Capo di faro a ovest e al ponte di San Fruttuoso a est). E’ sullo sfondo di queste varie mappe fiscali che vanno interpretati i termini « importazione » ed « esportazione » usati per alcuni raggruppamenti di unità archivistiche: come scambi di merci tra ciascuna area fiscale e il territorio esterno, sia esso genovese o straniero.



Giuseppe Felloni