L’archivio e le sue vicende

L’archivio della Casa di San Giorgio, pur mutilato rispetto alle dimensioni originali, ha oggi una consistenza di circa 39.000 pezzi. I suoi documenti vertono principalmente sull’amministrazione del debito pubblico, la gestione delle imposte e l’esercizio del credito. Le ragioni di una composizione così specifica sono da collegarsi con il legame fortissimo che si manifesta a Genova tra bisogni statali, fisco e debito pubblico.
Lo strumento finanziario tipico a cui lo stato genovese ricorreva nei casi di emergenza era la “compera” (da non confondersi con l’appalto delle pubbliche entrate), per la quale esso riceveva a mutuo un capitale da un gruppo di sovventori privati e in cambio cedeva loro uno o più introiti fiscali che fungevavano da interesse per il prestito, pegno per il suo rimborso ed eventualmente fondo d'ammortamento. Per facilitare la raccolta del denaro, il capitale era suddiviso in quote ideali da 100 lire (luoghi) di cui i singoli sovventori potevano disporre liberamente vincolandoli a determinati scopi o vendendoli a terzi, che subentravano in tutto ai diritti dei primi. Nel suo insieme, il gruppo dei sovventori costituiva una persona giuridica, che trascendeva le singole persone fisiche e sopravviveva nel tempo sino all'eventuale rimborso; il suo nome ufficiale era quello di "compera" seguito da un complemento che richiamava lo scopo del prestito, il sovventore principale o l'imposta da cui era nutrita.
Poiché a ogni compera erano assegnate una o più imposte specifiche, la moltiplicazione delle compere (ossia l'aumento del debito pubblico) si accompagnava sempre alla proliferazione dei tributi, il che finiva per creare situazioni di rigetto dei contribuenti ed aumentare le evasioni con la conseguenza di ridurre l'introito delle imposte rimaste allo stato e decimare gli interessi dei creditori. Per risanare la situazione il comune doveva allora riformare il debito pubblico trasformando i debiti fluttuanti in consolidati, accorpando questi ultimi in una nuova compera che fruttava un unico interesse (naturalmente minore di quelli originari) e destinando al suo pagamento un nucleo adeguato di imposte che erano date in gestione agli stessi creditori.
Si tratta di operazioni di unificazione e riconversione, anche oggi conosciute e praticate, che a Genova ebbero luogo più volte e dalle quali presero vita in un primo tempo la c.d. compera magna Salis (1274), la compera magna mutuorum veterum (1303) e la compera magna pacis (1332), che dal 1340 furono gestite in comune con il nome di "compere del capitolo", e in seguito altre compere unificate sino alle compere di San Giorgio (1407), le più note ed importanti. Ogni volta che si procedeva ad una riforma del debito pubblico, la compera unificata subentrava legalmente - nei rapporti con i terzi - alle compere assorbite; ciò implicava la consegna al nuovo organismo dell'intero loro archivio (titoli di legittimazione, leggi, privilegi, atti notarili, matricole dei creditori, libri contabili, ecc.), inclusi i diritti e doveri incorporati nei loro libri delle e che riguardavano: 1) i residui ancora da sistemare e le partite di luoghi vincolate dai titolari, che la nuova compera doveva continuare a gestire a loro nome; 2) i privilegi statali concessi a suo tempo alle compere precedenti, ora trapassati a favore del nuovo ente; 3) le norme, i regolamenti e le tecniche di amministrazione dei singoli tributi, che le antiche compere applicavano e che l’ente subentrante continua ad osservare almeno per qualche tempo.
Questo meccanismo si applica anche alla Casa delle compere, che dopo il 1407 riceve in deposito la documentazione interna di tutte le compere in essa confluite (che a causa dell'incendio del 1339 inizia in pratica nel 1340) ed inoltre i registri di amministrazione dello stato, delle sue magistrature o di singole operazioni temporanee (ambascerie, armamento di flotte, ecc.), che i funzionari delle compere del capitolo sindacavano regolarmente nella forma e nel merito e che al termine della gestione ricevevano in deposito. Così l’archivio della Casa di San Giorgio si nutrì inizialmente di un cospicuo blocco documentario, che in seguito neè stato smembrato ed oggi è suddiviso in due corpi a sé stanti: il fondo "Compere e mutui" ed il fondo "Antico comune".
La cura delle carte ereditate dai precedenti amministratori e di quelle prodotte dalla gestione corrente fu affidata inizialmente all'ufficio che si occupava dei residui (il c.d. Ufficio del 1444) e più tardi ad un funzionario ad hoc, coadiuvato da scrivani e da un gatto famelico per difenderle dai topi; compito dell'archivista erano il riordinamento e la conservazione dei pezzi, la cui consultazione era riservata esclusivamente agli uffici.
Dell'antico archivio di San Giorgio sono rimasti numerosi inventari parziali che dimostrano l'attenzione riservata dai Protettori (le supreme autorità della Casa) a questo delicato problema. Gli inventari più antichi si limitano ad elencare senza alcun ordine i titoli esterni e le date dei registri dei secoli XIV e XV presi in carico da San Giorgio, ma alla fine del sec. XVI cominciarono a redigersi inventari sistematici di consistenza, raggruppati per serie ed aggiornati di tempo in tempo con i pezzi versati dagli uffici. In qualche raro notulario abbiamo l’elenco dei pezzi consegnati in visione a funzionari interni, restituiti da questi ultimi o mandati al restauro. Dagli stessi inventari apprendiamo che agli inizi del sec. XVIII l'archivio era sistemato in vari locali di cui 5 di grandi dimensioni (chiamati Santa Maria, San Bernardo, San Giorgio, San Giovanni Battista e San Domenico). Negli stessi locali lo ritroviamo dopo l'unione alla Francia (1805), ma senza un'adeguata protezione. Licenziati gli antichi impiegati, i nuovi selezionarono le carte più antiche o interessanti e senza redigerne un elenco le mandarono a Parigi dove si iniziò la vendita a vile prezzo dei registri relativi alla gabella sul sale; l'intervento di alcuni personaggi genovesi riuscì soltanto a bloccare l'operazione, ma senza poter ricuperare i registri già alienati.
Dopo l'annessione al Piemonte, una delle prime cure di Vittorio Emanuele I fu proprio quella di sistemare gli archivi pubblici e vi provvide con lettere patenti del 18 giugno 1817, nelle quali compare per la prima volta la triplice distinzione tra archivio governativo, notarile e della ex Banca di San Giorgio. La sede prescelta per i due primi archivi, che secondo l'ordinamento piemontese erano sottoposti al ministero dell'interno, fu il palazzetto criminale ed il locale chiamato "Archivio dei notai", attiguo al palazzo arcivescovile, che furono ceduti dal demanio alla municipalità e ristrutturati secondo i piani dell'architetto Carlo Barabino.
L'archivio della ex Banca di San Giorgio continuò a restare nel palazzo omonimo o della Dogana a disposizione della commissione eretta nel 1816 per la liquidazione del debito pubblico e per tale ragione fu posto alle dipendenze del ministero delle finanze. Nel 1817 l'ispettore Carlo Cuneo, vantandone l'importanza, riferì che i locali erano ben protetti e che "i registri e carte ... sono tutti nelle loro sganzie con ordine di data e materia [e collocati] in undici diverse stanze, o sale, ogniuna delle quali ha il suo inventario, che ora si sta confrontando coi registri e filze che vi si trovano in numero da 30 a 40 milla circa".
La liquidazione dei luoghi, coinvolgendo una massa enorme di titoli, richiese anni ed anni di ricorsi documentati, sollecitazioni e raccomandazioni, concludendosi per il grosso dei debiti nel 1833 e per gli altri nel 1856. Durante questo lungo periodo, la condizione degli archivi di San Giorgio (al plurale, come erano chiamati in quel tempo) prese a peggiorare e la soddisfacente sistemazione rilevata nel 1817 cedette il passo ad un degrado profondo. Alla vigilia dell'unificazione (1861) l'archivio si trovava nel più completo abbandono; come ricorda una relazione più tarda, "migliaia di quei preziosi registri (giacevano) ammonticchiati confusamente sui pavimenti di mattone ricoperti di alti strati di polvere. Sua Eccellenza il conte Cavour, che ebbe la degnazione di visitarli con sua grande e spiacevole sorpresa in tali condizioni, troverebbe sbiadita la presente descrizione". Il momento del recupero, tuttavia, era ormai prossimo, compatibilmente con i tempi lunghi della macchina statale e con gli enormi problemi organizzativi del nuovo regno. Nel 1856, completata la liquidazione del debito pubblico genovese, la relativa commissione fu sciolta. L'archivio di San Giorgio venne assegnato al ministero dell'interno e riunito formalmente agli altri due (il governativo ed il notarile), pur continuando ad esserne fisicamente staccato; e nel 1861 i tre archivi dell’ex ducato di Genova entrarono a far parte degli archivi statali con il grado di direzione.
I lavori di riordinamento iniziarono subito. La relazione già menzionata, che risale agli anni '70, riferisce che a quel tempo i documenti erano depositati in cinque grandissimi saloni e quattro camere, insieme con la parte finanziaria della repubblica anteriore al 1528 (l'attuale antico comune) e che si erano già ordinati cronologicamente e per materia circa 20.000 fra registri e filze, "collocandoli negli scaffali, rifacendone la classificazione di cui non rimaneva più traccia, completandoli esteriormente con le indicazioni delle rispettive materia."
Mentre si procedeva al riordino, si provvide anche alla collocazione definitiva. Con un atto di permuta rogato il 3 aprile 1874, lo stato cedette al municipio il palazzo S. Giorgio e il municipio trasferì al demanio la proprietà del palazzetto criminale, a cui gli archivi di San Giorgio erano destinati. Una successiva relazione del 1883 chiarisce i tempi ed i modi della complessa operazione: nel 1879 iniziarono i lavori di ristrutturazione del palazzetto criminale per accogliervi il nuovo materiale, che vi fu trasportato nel 1880; e tra tale anno ed il 1882 si completò la movimentazione e ricollocazione di tutte le unità archivistiche, giungendo grosso modo alla sistemazione precedente l’attuale.
Rispetto all'antico archivio della Casa di San Giorgio, che con i pezzi non inventariati doveva ammontare a circa 42.000 unità, quello odierno comprende un fondo in più e alcuni blocchi documentari in meno. Il materiale aggiunto si riferisce al magistrato comunale dei Provvisori dell'olio, la cui presenza è del tutto casuale: quando nel 1817 l'ispettore Carlo Cuneo fece una ricognizione degli archivi pubblici, trovò che l'archivio del magistrato era del tutto abbandonato e che "le carte andavano di giorno in giorno scemando", sicché per salvarle le fece trasportare nell'archivio di San Giorgio, di cui hanno seguito le vicende. Il materiale scorporato è costituito da poche decine di registri di varia natura (tra cui quelli dei beni arcivescovili dal 1383 in poi), dagli odierni fondi "Compere e mutui" e "Antico comune", che nel 1880 vennero selezionati con criteri discutibili e non rigorosi, staccati dal complesso principale, integrati con pezzi estranei e costituiti in serie autonome; e da numerosi membranacei un tempo affidati al sindaco delle compere, anch’essi trasferiti con altri pezzi dell’antica Camera in serie promiscue.

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